La Tavola dei Briganti e il monte Focalone

Majella nel cuore


Dell’escursione odierna c’è ormai poco da raccontare, è forse il sentiero più battuto della Majella, soprattutto in Agosto, quando le frotte di vacanzieri che salgono dal mare attratti dall’aria fina dei 2000 metri e dalla facilità di raggiungerli lo riempiono, diventa anche l’unico quando i lavori di censimento della popolazione dei camosci nella zona dell’anfiteatro delle Murelle portano a chiudere il sentiero G7, rendendo la direttissima al Focalone l’unica via disponibile, eppure … Da Passo Lanciano siamo saliti al Blockhaus, le tante antenne che sovrastano la Majelleta segnano il punto di arrivo oltre il quale con l’auto è impossibile continuare. Parcheggiamo di fronte al rifugio Pomilio, l’aria è fina e gli orizzonti sono liberi e puliti, non c’è segno della perturbazione in arrivo che ci ha fatto anticipare di una giornata l’escursione in quota. Oltre il rifugio ci aspettano i due chilometri e mezzo di avvicinamento su asfalto fino al Blockhaus, si potrebbero aggirare sui pratoni della Majelletta ma nessuno li preferisce, il panorama sui colossi della Majella ed il veloce avvicinamento li fanno sfilare senza troppa noia. Alla madonnina sotto il Blockhaus prendiamo il sottile sentiero che sfila sulla sinistra in mezzo ai pini mughi, quello che aggira la vetta verso Nord trovo che sia meno interessante. Non è così dismesso come ho letto, i pini sono contenuti, ogni tanto hanno allungato i loro pesanti tentacoli sulla via ma si passa senza problemi, traversa costantemente sotto cresta sopra il vallone delle Tre Grotte e sopra le gobbe di Selva Romana e l’omonima stretta valle che score incassata e parallela alla prima, intricati anfratti dal fascino primordiale in cui prima o poi mi ci devo infilare. Davanti le Murelle dominano lo scenario con la cresta dell’anfiteatro che scorre seghettata e alta verso le tonde moli del Focalone e dell’Acquaviva. Il sentiero stretto tra una fitta mugheta sfila prima sotto il Blockhaus, sotto il monte Cavallo fin quasi a lambirne la cresta; circa duecento metri prima di arrivare alla fontana sulla sella dell’Acquaviva dove inizia poi la pettata per il Focalone, verso destra, si stacca un sentiero cortissimo, occorre fare attenzione per distinguerlo, è più facile notare la radura che si inoltra tra i pini che il segnale sbiadito che sormonta un piccolo ometto. Raggiunge in pochi metri la cresta nei pressi della Tavola dei Briganti. Il toponimo riportato su tutte le carte è un’attrazione degna di deviazione e sosta; una piatta formazione calcarea si affaccia come fosse un vero balcone artificiale sulla parte terminale del vallone dell’Orfento, sulla rava della Sfischia e sulla Macchia di Caramanico. Davanti si apre un primordiale e selvaggio paesaggio, tutto è enorme, verticale e strapiombante, la mole del Focalone sporge e precipita massiccia, la cresta che dal Rapina sale al Pescofalcone con le ruvide, selvagge e ripide pagine che precipitano è una presenza incombente e catalizzante; tutto è grande e troppo e tutto può distogliere l’attenzione dall’unicità di questa balconata. E’ a terra, sotto i nostri piedi la vera attrazione, si calpestano una serie infinita di incisioni, sono le testimonianze di quelli che sono stati definiti briganti, rifugiatisi su queste montagne verso la seconda metà del 1800 per scappare all’esercito ormai “italiano” che cercava di riportare ordine dopo l’annessione del Regno delle due Sicilie da parte di quello Sabaudo. Il fortino del Blockhaus, vecchia struttura militare austriaca da cui il nome, riadattato ristrutturato proprio intorno al 1860 dal nuovo esercito sabaudo per contenere il brigantaggio su queste montagne è poco lontano; da questo balcone i (forse) briganti sfidavano l’ordine che si andava costituendo. Tra le tante scritte e croci, testimonianze di origini e di solitudine ne spicca una, ma bisogna essere bravi a trovarla, che la dice tutta sul controverso periodo storico “ Nel 1820 nacque Vittorio Emanuele Re d'Italia. Prima del ‘60 (1860) era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria”. Evidentemente mai nulla di nuovo o di diverso scorre sotto l’immutabile cielo. Che fosse brigantaggio, oppressione politica o trasgressione semplice è difficile farsene un’idea, tanti sono i testi per approfondire il momento storico, sta però che la Tavola dei Briganti da sola merita l’escursione, per la testimonianza storica (per un momento riesce a mettere in secondo piano la montagna) e per l’indiscutibile vista che offre, davvero una perla delle nostre montagne. Continuando in cresta per pochi metri ci si ricongiunge al sentiero che scorre poco sotto fino a raggiungere la fontana; contrariamente al mio precedente passaggio questa volta il getto è copioso e fresco. Da lì, verso sinistra, parte il sentiero G7, o dell’aeroplano, che scorre alto sulla valle di Selva Romana fino ad entrare, con alcuni passaggi leggermente esposti nel magnifico anfiteatro delle Murelle; doveva essere questo il proseguimento della nostra escursione ma i famosi lavori per il censimento (purtroppo ripetitivo e annuale) dei nostri amici camosci da parte della forestale ce lo ha interdetto. Non c’era scelta, dovevamo continuare ripidi tra i pini mughi fino a traversare il fianco della cresta che anticipa il Focalone. Prima ripidi su un sentiero scavato dai temporali e quindi sconnesso, poi su un lungo traverso, dove si sfiora Fonte Gelata (mai nome è stato più azzeccato, l’acqua che esce a fiotti spacca letteralmente i denti), sbuchiamo sulla lunga dolce cresta sassosa che sale al Focalone; sulla sinistra a circa cento metri dimora quasi nascosto il bivacco Fusco. Lo scatole di “latta” gialla, angusto appoggio per una sosta in Majella, è posto in una posizione a dir poco magnifica, davanti degrada la valle che risale sulla pagina Nord delle Murelle, l’anfiteatro di roccia e ghiaia si allunga in tutta la sua bellezza quasi dolomitica; è difficilissimo fare una classifica vista la diversità e la vastità del territorio ma credo non si faccia torto a nessuno quando si definisce le Murelle come la montagna più bella dell’intera Majella, uno spettacolo nello spettacolo, catalizza l’attenzione, si potrebbe rimanere su questa cresta per il resto della giornata senza stancarsi. Il Focalone è là davanti, al termine della circolare cresta che sale gradualmente, prima sugli ultimi prati e poi sul mare di selci calcarei tipicità quasi unica delle vette della Majella. Salendo si ritorna ad infilare con lo sguardo la valle dell’Orfento, un budello sinuoso buio e contorto, che accompagna lo sguardo verso Caramanico e più lontano verso il Gran Sasso. Uno sguardo indietro, sulle coste, sui ripidi e boscosi versanti che danno sulla valle, oltre gli strapiombi del monte Cavallo, da qualche parte in mezzo a quegli anfratti è posta la grotta di san Giovanni; è difficile pensare che ci possa essere una sorta di rifugio nell’antichità utilizzato da uomini come noi. I prossimi giorni saremo là in mezzo, è eccitante pensarlo da quassù anche senza capire come ci si possa arrivare. Nel mare di selci il sentiero che sale in cresta è evidente, in quel deserto roccioso fioriture coloratissime colonizzano il territorio ed offrono una cornice stupenda e contrastante alla rudezza e vastità del territorio; come sempre la Majella ti prende per la sua diversità oltre che per le sue dimensioni, non ti ci abitui mai. Marina lentamente mi anticipa in vetta mentre mi attardo per le foto, decidiamo che può bastare, ci fermiamo a lungo per goderci senza altre fatiche quel deserto lunare. Mi allungo davanti fin tanto che non si libera tutta la visuale sulla parte centrale dell’immenso mare di montagne; sulla valle delle Mandrelle, sul Sant’Angelo, il Pomilio, il Rotondo, il Pescofalcone fino all’Amaro dove svetta la cupola del bivacco Pelino. Un mare di roccia, un deserto lunare, unicità territoriale di tutto l’Appennino. Mille dettagli, mille curiosità, uno sproposito di luce che si riflette abbagliante e soffuso. Immensa Majella, enorme, immensa e bella da non abituarcisi mai; sono le dimensioni che ti stordiscono e non ti ci fano capire più nulla. C’è sempre tanto da guardare quando sei lassù, troppo c’è da guardare, distese indolenti di pietrisco ed improvvisi precipizi, roccia che si confonde con la polvere, seguo quelle creste ora tonde ed ora sottili e vedo ciò che l’occhio non può vedere ma che ha già visto in altri momenti, le contorte e profonde valli, i sentieri taglienti a precipizio su forre profonde, gli incroci di sentieri, che se per poco li sbagli a prendere ti ritrovi altri duemila metri da salire come se fosse niente. Quando sei lassù tutte le salite in Majella diventano una sola, vorresti avere mille fiati e duecento gambe per ripercorrerle tutte, segui le linee e rivedi ogni passo lasciato su quelle polveri in tanti anni e tutte le volte, ma proprio tutte quante, trovi nella tua testa quel pezzetto di Majella che non hai toccato e che ti sembra improvvisamente più importante degli altri, strategico, immancabile. Non si torna mai via da quelle cime senza un nuovo progetto nel cuore. Affascinanti queste montagne quanto rudi, catalizzanti quanto immense, ammaliatrici come e più della nostrana Sibilla. In tanta vastità è tra le piccole selci che c’è una vita smisurata; fiori, fiori sgargianti, infinitesimali o appariscenti, unici o banali, coloratissimi, violati e accarezzati da un esercito di farfalle. Rude e delicata questa montagna, sempre unica e forse non solo per gli Appennini. Ci fermiamo a lungo sull’ometto in vetta al Focalone, folate di vento ci fanno sopportare il sole a picco, fino a quando non ci accorgiamo di minacciose nuvole che si sono materializzate come dal niente verso il mare. Pochi momenti ed il sole sparisce, il vento continua a colpirci ma ben presto fa sentire quanto sia importante la presenza del sole a quelle quote. Non possiamo più rimanere fermi, riprendiamo a scendere. Continuo a rubare foto, la luce filtrata delle nuvole rende tutto diverso, a casa potrò capire se è solo il frutto di ciò che sto guardando col cuore più che col gli occhi. Marina mi prende una pista, mi attardo eccessivamente con i fiori che incontro lungo il cammino; ma si ricorda quanto gli dissi della presenza di un sentiero che scende in cresta senza la deviazione verso il Fusco, ci si infila senza indugiare; segue la linea della larga dorsale, la stessa che lentamente e poi molto ripida scivola via verso la Rava del Diavolo sotto il Pescofalcone, la stessa che più in giù si perde nel buio dell’Orfento. Il sentiero che avevo percorso tanto tempo fa si fa ripido e sconnesso, i fiumi d’acqua provocati dai temporali lo hanno scavato, senza grossi problemi serpeggia sul versante verticale e si ricongiunge al sentiero dell’andata poco sopra la fontanella della sella dell’Acquaviva, non prima di aver sfiorato qualche impressionante salto nel vuoto nella valle sottostante. Quando siamo alla fontanella le nuvole si fanno basse, lentamente diventano nebbia, nebbia da corsa che sale dall’Orfento che si sfilaccia e si dissolve oltre il crinale. Promette pioggia il cambio il repentino del meteo, spinge a non indugiare. Sotto il Cavallo la nebbia non è più corsaiola, una grigia, immobile e bagnata coltre ci avvolge e da quel momento la Majella esiste solo nella consistenza dei Mughi che attraversiamo. Senza visibilità il sentiero che viaggia trasversale fino alla madonnina del Blockhaus sembra non finire mai, fa quasi spazientire tanto sembra senza fine. Tutte le cose terrene hanno una fine, compare l’altarino tra i pini, e poi il nastro d’asfalto; ci sono ora solo due chilometri e mezzo da percorrere volando in leggera discesa. Non c’è più nulla della Majelletta che abbiamo goduto fino ad un’ora prima, non ci sono nemmeno le antenne, solo i nostri passi e le nostre voci che si perdono nell’umidità sospesa dell’aria. Riparliamo della giornata, ora Marina conosce metà del mio progetto per portarla in cima alla grande montagna, lo rimandiamo a momenti migliori, quando la sua schiena sarà rimessa a posto e quella forza della natura che era ritornerà a sorridere impaziente per nuove conquiste. Arriveranno, e sarà ancora tante volte Majella, perché questa montagna quando inizi a conoscerla e a frequentarla un po’ di più, senza che te ne accorgi, entri a farne parte. Ci aspettano altri tre giorni su questa montagna, se il meteo sarà clemente andremo a scovare altre peculiarità di questo territorio, è arrivato il momento degli eremi, di andare a cercare di capire meglio e respirare quel momento mistico che si è vissuto intorno al 1300 nel cuore selvaggio di queste montagne. Speriamo che il meteo non confermi le nefaste previsioni agostane. Per ora non vogliamo pensarci, una bella doccia ed una ricca cena ci aspettano in un agriturismo a Decontra.